“Io sono Malala”: era questo il titolo del libro autobiografico (2013), scritto insieme alla giornalista Christina Lamb, che rese Malala Yousafzai famosa in tutto il mondo. Un titolo in cui era contenuto, per intero, il suo profondo e intangibile
universo interiore: la forza, il coraggio indomito, la fede tenace e inscalfibile nei valori più sacri, primo fra tutti il diritto all’istruzione e alla vita. “Io sono Malala”.
Era il 9 ottobre 2012 nella Valle dello Swat, in Pakistan. Ore dodici. Malala aveva quindici anni.
Le lezioni sono appena finite, Malala è sull’autobus con le sue compagne, pronta a tornare a casa. All’improvviso un uomo sale a bordo e spara, colpendola al volto e lasciandola in fin di vita. La sua colpa, per i talebani, è quella di essere
una giovanissima donna, ancora quasi una bambina, che ha gridato al mondo, da un blog, il suo desiderio di leggere imparare, studiare, vivere.
Malala riuscì a salvarsi per miracolo, dopo un intervento d’urgenza a Peshawar e, successivamente, un trasferimento a Birmingham. Sopravvissuta all’attentato, continuò la sua lotta. Nel 2014 le venne consegnato il Premio Nobel per la
Pace: fu la più giovane vincitrice della storia.
In quell’occasione disse di “provare orgoglio, per essere la prima pachistana ad avere avuto il premio Nobel”, ma aggiunse subito: “per me non è il punto d’arrivo, ma l’inizio di una più forte battaglia per i diritti dei bambini”.
Simbolo universale delle donne che in tutto il mondo lottano per l’istruzione, la libertà e la vita, Malala si è appena
laureata all’Università di Oxford, realizzando uno dei suoi sogni più grandi.
“Sedermi a scuola a leggere libri è un mio diritto. Vedere ogni essere umano sorridere di felicità è il mio desiderio. Io sono Malala. Il mio mondo è cambiato, ma io no”.
F.S.