Eccellenze di cui andare orgogliosi
Tutto ha inizio nel marzo del 2017, quando mi viene diagnosticato un tumore alla vescica. L’esame istologico depone per una prognosi infausta: carcinoma di alto grado con estesa differenziazione squamosa e infiltrazione della parete muscolare.
L’intervento di cistectomia radicale con ricostruzione di una nuova vescica ileale viene eseguito al Policlinico Universitario “A. Gemelli” di Roma. All’intervento segue una prima linea di chemioterapia che non riesce a fermare la malattia. A distanza di un anno si presentano le prime due metastasi al polmone, la più invasiva delle quali viene asportata chirurgicamente, sempre al policlinico Gemelli.
Segue una seconda linea di chemioterapia che dura circa nove mesi. Viene interrotta nel momento in cui la malattia si ripresenta con tre metastasi al polmone e due nello scavo pelvico. Appare evidente che il tumore ha preso la via del non ritorno. Avendo esaurito tutti i protocolli ufficiali di cure con farmaci chemioterapici approvati per i carcinomi uroteliali, mi vengono proposte cure palliative che ho prontamente rifiutato, andando in disaccordo con l’oncologo che mi seguiva da due anni.
Poiché credo fermamente nella ricerca scientifica, per mia scelta e volontà, mi sono presentato al Dipartimento di Oncologia medica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, un ospedale pubblico la cui straordinaria operatività viene riconosciuta, annualmente, dalla rivista americana Newsweek nella classifica ‘World’s Best Hospitals 2020’ che lo pone al quindicesimo posto a livello mondiale e al primo posto in Italia.
In questo Istituto, dopo approfonditi accertamenti clinici, vengo arruolato in uno studio clinico per i carcinomi uroteliali metastatici che già avevano fallito le linee di trattamento con i chemioterapici ufficiali. Tale studio prevede l’impiego combinato di chemio-immunoterapici innovativi. L’obiettivo era quello di verificare l’efficacia terapeutica della somministrazione dei due farmaci associati, rispetto a quella osservata per ogni singolo farmaco. La nanomolecola di chemioterapico era in una fase di studio avanzata in Canada, mentre l’inibitore di checkpoint immunologici per i carcinomi uroteliali era stato autorizzato negli Stati Uniti dall’’FDA e in Europa dall’EMA. L’AIFA ancora non l’aveva autorizzato nel nostro Paese, cosa che ha fatto nel dicembre 2019.
Seguo per sette mesi il protocollo sperimentale a Milano e arriviamo a marzo del 2020, la pandemia Covid 19 non mi consente più di continuare la cura all’INT, perché i collegamenti aerei vengono interrotti.
Non mi rimaneva che bussare alla porta dell’UOC di oncologia medica dell’Ospedale “S. Antonio Abate” di Trapani. Riscontro da parte del Direttore del reparto una immediata prontezza e competenza: nel giro di pochi giorni acquisiscono sia le dovute informazioni sulla terapia praticatami all’INT di Milano, sia l’autorizzazione da parte dell’AIFA per la somministrazione del farmaco. Con questa tempestività non perdo neppure un ciclo di terapia.
Rimango ulteriormente meravigliato in positivo, quando il pomeriggio del giorno prima della terapia vengo chiamato dal reparto e mi viene assegnato l’orario della somministrazione. L’indomani la puntualità è stata tale che ho pensato a un fatto episodico, ma fortunatamente ho pensato male.
Dopo un anno di terapia continuata posso affermare che questa puntualità deriva da un rigoroso metodo di lavoro che vede coinvolto in modo continuo ed efficiente tutto il personale del reparto, ciascuno con il proprio ruolo e competenza. Medici, infermieri e personale ausiliario rappresentano un unico corpo che lavora con dedizione e professionalità, mostrando un affiatamento e un coordinamento impeccabili. Ecco perché in un anno, a cui corrispondono 18 cicli di terapia, non si è creata mai una smagliatura. Risparmiare la lunga attesa a un paziente oncologico e riuscire a umanizzare le cure non sono fatti da poco.
Ancora più lodevole l’organizzazione del lavoro se calata in un anno in cui la presenza del virus Sars CoV-2 ha fatto chiudere tanti reparti di oncologia nel nostro paese. I controlli che vengono eseguiti sui pazienti prima di consentire l’accesso al day hospital sono scrupolosi e sistematici, i parenti restano tutti fuori dal reparto.
La sanità pubblica in Italia, il conforto e il sostegno della famiglia e degli amici, il mio modo di affrontare la malattia, tra Fede, Scienza e Speranza, mi hanno consentito di dare questa dovuta testimonianza sul mio cammino di paziente oncologico.
Lettera firmata