Quel palazzo di via Garraffa, un’altra bomba su Marsala

Quel palazzo di via Garraffa, un’altra bomba su Marsala

Architettonicamente parlando, Marsala non è una città fortunata.

Le linee vorticose della sua fisionomia barocca venivano descritte con le dita della mano, sull’aria, dalle memorie di mia nonna Olga. La ricordava stupenda, Marsala.

Poi arrivarono le bombe che sgretolarono un patrimonio irripetibile.

Madonna della Cava, Chiesa di San Biagio, San Michele: tutto spazzato via dai detonatori anglo-americani.

Di bombe, nel ’43, ne caddero pure sulla Chiesa di San Gerolamo, i cui resti ora fanno bella mostra nell’area antistante la chiesa del Purgatorio, in quello spiazzo che oggi viene chiamato “Piazza Palle”. Sì, proprio così: il toponimo viene da una specie di recinzione fatta da palle di cemento incatenate, messe lì forse ad evocare quelle sparate dai galeoni per tranciare gli alberi delle navi a vela. La cosa ha senso: del resto, dentro San Girolamo era custodito lo stendardo che Don Giovanni d’Austria oppose ai labari ottomani di Lepanto.

Fino a quando l’apporto architettonico “moderno” si limitava – a Piazza Palle – alle vetrate un po’ futuristiche, francamente, la cosa poteva anche andare bene.

Solo che, su quello spazio così denso di storia, stretto tra i ruderi di una chiesa che fu e quel gioiello barocco che è il Purgatorio, è caduta un’altra “bomba”.

Definire cosa sia non è semplice. Oddio… a cosa serve è chiaro: si tratta di una struttura ricettiva. Cosa rappresenti – invece – è un mistero.

Un parallelepipedo di acciaio scuro, venuto dal Cosmo come il Monolite di “2001: Odissea nello Spazio”, piantatosi sul terreno lilibetano. 

Monolite di “2001: Odissea nello spazio”

Io li ho visti straniti, i marsalesi, quando l’impalcatura ha disvelato il misterio oggetto: vi si avvicinavano perplessi e spaventati come gli ominidi di fronte al fuoco, lo toccavano e subito ritraevano la mano come, se avessero paura di bruciarsi. Eh sì: le cose cadute dallo spazio infatti sono sempre bollenti.

Alcuni hanno pure azzardato che di notte questo oggetto trasmetta anche misteriose onde radio, dirette verso mondi lontanissimi, sparsi nel buio ancestrale delle Galassie.

Fatto sta che adesso l’Area Sacra di San Gerolamo adesso somiglia spaventosamente all’Area 51.

Area archeologica San Gerolamo, di fronte al palazzo

Cosmologia a parte, questo “coso” – che evoca l’aspetto di una cassetta di sicurezza bernese – è la dimostrazione di come il Siciliano (e, nella fattispecie, il “Marsalese”) sia un soggetto cui non può essere assicurata alcuna autonomia di scelta.

Scherzi a parte: la nuova costruzione, in sé, non è “brutta”. Anzi, occorre dire che ha un suo stile, per certi versi anche piacevole. Piacevole, sì: per Hong Kong, forse. O per la scenografia di Blade Runner. Ma senz’altro eccentrico, abnorme e completamente fuori luogo per il luogo ove è costruito.

In molti si sono chiesti se tutto ciò sia legale. Noi, invece, crediamo che la questione sia più propriamente “sociale”. Sì, perché: voi capite che se c’è bisogno di una legge o di un piano regolatore per “suggerire” al cittadino che una costruzione del genere lì non va fatta, allora – signori miei – assistiamo ai risultati fallimentari del sistema “didattico” nazionale. Significa, in altre parole, che tutto ciò che è cultura, educazione al bello, rispetto per il contesto, per i luoghi, per l’estetica che – certo – è una cosa “soggettiva” ma fino ad un certo punto, ecco: vuol dire che tutto questo non è servito a nulla. 

Se ne sono scritti di libri, di articoli e contributi sulla degenerazione dei nostri centri storici, soprattutto quelli meridionali. Quante volte abbiamo letto di palazzoni costruiti su villini Liberty? Quante volte è stata denunciata la (clamorosa) legalità di casermoni tirati su sui bagnasciuga? Bene: tutto questo – evidentemente – non è servito a nulla. Abbiamo tutti “scutulato carrubbi”, se la risposta alla domanda “ma come diamine v’è venuto in mentre di fare un fortino corazzato proprio lì” sarà “E’ tutto in regola”. Senz’altro, cadono le braccia a terra.

Rimarrà la speranza di passare, una sera, da lì e vedere uscire da questa casa un po’ Cyberpunk 2077 un po’ Kraftwerk il mio mito d’infanzia, Terminator.

Con il suo fare un po’ macchinoso tipo Robocop mi dirà “hasta la vista” e sparirà nel buio a combattere la sua guerra cibernetica.

Riccardo Rubino