La sociologia come ‘scienza del cambiamento’, incaricata di studiare le trasformazioni del vivere associato e le
Visualizza articoloalterazioni fisiologiche e patologiche della ‘regolarità sociale’: compito tanto più necessario nelle fasi dell’emergenza e
delle crisi che convocano individui e comunità al tavolo di un inderogabile redde rationem. Quale il nuovo volto della
‘società della moltitudine’ nell’era post-Covid? Quali l’entità e il peso dei tempi del ‘ritiro’ e della ‘reclusione forzata’?
Come è cambiata la ‘città globale’ e la relazione fra l’uno e i molti sotto la sferza dell’ineludibile disciplina indotta dalla
pandemia? Cosa rimane di una società edonistica che ha visto inaspettatamente erodere l’egemonia del piacere e della
seduzione dalle pervasive dinamiche della protezione individuale? Questi e molti altri i temi al centro della riflessione e
del dibattito del Festival internazionale della Sociologia – coordinato da Maria Caterina Federici – che si è svolto a Narni
dal 14 al 16 ottobre. “Seduzione e città globale. Rifare la società dopo il Covid-19” è stato il titolo della quinta edizione
dedicata al sociologo Antonio De Lillo.
Da Mario Morcellini a Alessandro Cavalli, Gilles Lipovetsky, Paolo Jedlowski, Dominique Wolton, Mauro Calise, Mihaela
Gavrila, Raffaele Federici, Marco Delmastro, Antonia Cava, Gino Frezza, Gianfranco Pecchinenda, ma anche proiezioni
di film, musica dal vivo, mostre d’arte e presentazioni di libri: molti i panel e le occasioni di incontro tra voci diverse che si
sono confrontate nella sala dell’Auditorium San Domenico e in molti altri luoghi della città, animata per tre giorni dagli
infiniti stimoli di un ‘Festival diffuso’, pronto a percorrere le sue strade e ad abitare i suoi palazzi storici, vincendo la sfida
della interdisciplinarità e dell’attraversamento dei saperi.
Nell’era dell’ ‘imperativo del piacere’, divenuto onnipresente ed egemonico, tentacolare e de-tradizionalizzato – osserva
Lipovetsky – nel ‘cosmo della seduzione’, hanno fatto improvvisamente irruzione la ‘paura dell’altro’, la diffidenza, la
‘priorità del futuro sul presente’. Ma sarebbe un errore credere al declino dell’aspirazione consumistica ed edonistica,
troppo resiliente e radicata nell’antropologia individualista per subire minacce, se non di natura congiunturale e
transitoria. “Si tratterà piuttosto – aggiunge – di reinventare il ‘mondo della seduzione’, rendendolo compatibile con il
rispetto dell’ambiente, la coltivazione della mente, la riflessione critica”.
Al paradigma della preparedness ha fatto riferimento Maria Carmela Agodi, Presidente dell’Associazione Italiana di
Sociologia, sottolineando la necessità di una riconfigurazione collettiva degli orizzonti del possibile “in un confronto
aperto in cui si rimettano a tema i confini tra saperi esperti, politica, scienza e senso comune, per riconnettere l’idea di
futuro a quella di democrazia”, elaborando strategie efficaci di preparazione all’emergenza. “La sociologia ha in questo
momento davanti a sé una grossa responsabilità: quella di provocare domande che sarebbe più facile non fare. – ha
affermato Maria Carmela Agodi – La sociologia popolare è una missione fondamentale per una scienza che non voglia
essere scienza triste ma che possa essere davvero strumento di riflessività e strumento di messa in questione dell’idea
del futuro”.
Nelle città globali abitate dalla ‘società dell’apparire e dal ‘dovere del piacere’ a base di like, di click e di follower, luoghi
di inclusione e di nuovi razzismi, di connessioni virtuali e di divisioni reali – ha sottolineato Maria Caterina Federici,
Direttrice scientifica del Festival della Sociologia – la pandemia ha scompaginato ogni certezza, corroborando le paure
identitarie e facendo emergere la vulnerabilità delle infrastrutture urbane. Indispensabile pensare, a partire da queste
basi, a nuovi modelli di sviluppo e a diverse modalità di ‘gestione della globalizzazione’.
Dilatare lo spazio pubblico e il civic engagement, ripartendo dai territori, dalle città e, soprattutto, dalle periferie “per
riannodare legami sociali resi labili dalla società dell’immagine e appesantiti dal rancore moltiplicato dalla crisi
economica”: questa – secondo Mario Morcellini, che ha curato anche il panel dedicato al sociologo Antonio De Lillo – la
necessaria e urgente risposta ai tempi dell’emergenza. Uno sforzo collettivo per uscire dal contagio, evitando il “costo di
una divaricazione tra società dei partecipanti, quanti cioè si sottopongono alla cultura, e dunque dispongono di maggiore
capacità informativa, e le grandi periferie esistenziali e sociali denunciate da papa Francesco. Saperi ancorati a valori da
concepire e da vivere come insostituibili antivirus per contrastare i rischi concreti di nuovi individualismi, nuove
disuguaglianze e ostentate dissociazioni rispetto ai fini e ai beni comuni: solo facendo leva su questi strumenti –
sottolinea Morcellini – sarà possibile ripensare il legame sociale e lo spazio pubblico anche come “dimensione
segnaletica di nuovi bisogni di partecipazione e di public voice”.
Ancora una volta le scienze sociali, a Narni, hanno interrogato il presente aprendosi a una riflessione culturale pubblica e
condivisa capace di raccontare la crisi dismettendo le vesti dell’autoreferenzialità e dei solipsismi accademici. Un
traguardo importante che lascia intravedere nuovi orizzonti di senso, rispondendo al rischio dell’anomia e alla tentazione
dell’atomismo individualistico con una sana rigenerazione dello spirito comunitario e dell’agire collettivo.