L’atteggiamento fondamentale della vita del credente dovrebbe essere la ricerca costante del volto del Signore: lo ha ricordato ieri Papa Francesco, in occasione della messa celebrata in occasione del settimo anniversario della sua visita a
Lampedusa. “La ricerca del volto di Dio è garanzia del buon esito del nostro viaggio attraverso questo mondo, – ha affermato il Pontefice – che è un esodo verso la vera Terra Promessa, la Patria celeste. Il volto di Dio è la nostra meta ed
è anche la nostra stella polare, che ci permette di non perdere la via”.
Ma non sempre i credenti e gli uomini sono all’altezza dei loro compiti.
Quell’8 luglio del 2013, nel Campo sportivo Arena, a Lampedusa, Papa Francesco durante l’omelia aveva usato parole forti e dirette: “La cultura del benessere, – aveva affermato – che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle
grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione, illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza”.
Come sua prima visita ufficiale fuori dalla Diocesi di Roma, Papa Francesco aveva voluto scegliere proprio l’isola di Lampedusa, dove aveva incontrato un gruppo di migranti extracomunitari e, accompagnato in barca da alcuni pescatori,
aveva voluto lanciare in mare una corona di fiori nel luogo in cui è stata collocata la statua della Madonna del Mare, a 14 metri di profondità, in ricordo di tutti coloro che hanno perso la vita nel tentativo di approdare in Italia.
Ieri il Papa è tornato su quelle parole e su quelle emozioni.
“Oggi ricorre il settimo anno, settimo anniversario della mia visita a Lampedusa. – ha affermato – L’incontro con l’altro è anche incontro con Cristo. Ce l’ha detto Lui stesso. È Lui che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero,
nudo, malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assistito, chiedendo di poter sbarcare. E se avessimo ancora qualche dubbio, ecco la sua parola chiara: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli
più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40)”.
Ma Papa Francesco è stato ancora più esplicito: “Penso alla Libia, ai campi di detenzione, agli abusi e alle violenze di cui sono vittime i migranti, ai viaggi della speranza, ai salvataggi e ai respingimenti. «Tutto quello che avete fatto… l’avete fatto a me». Ricordo quel giorno, sette anni fa, – ha raccontato Papa Francesco – proprio al Sud dell’Europa, in quell’isola … Alcuni mi raccontavano le proprie storie, quanto avevano sofferto per arrivare lì. E c’erano degli interpreti. Uno raccontava cose terribili nella sua lingua, e l’interprete sembrava tradurre bene; ma questo parlava tanto e la traduzione era breve. “Mah – pensai – si vede che
questa lingua per esprimersi ha dei giri più lunghi”. Quando sono tornato a casa, il pomeriggio, nella reception, c’era una signora – pace alla sua anima, se n’è andata – che era figlia di etiopi. Capiva la lingua e aveva guardato alla tv l’incontro.
E mi ha detto questo: “Senta, quello che il traduttore etiope Le ha detto non è nemmeno la quarta parte delle torture, delle sofferenze, che hanno vissuto loro”. Mi hanno dato la versione “distillata”. Questo succede oggi con la Libia: ci
danno una versione “distillata”. La guerra sì è brutta, lo sappiamo, ma voi non immaginate l’inferno che si vive lì, in quei lager di detenzione. E questa gente veniva soltanto con la speranza e di attraversare il mare”.
F.S.