Impegni non mantenuti e giustificazioni pericolose: il sindaco ha deciso di provvedere personalmente alle “emergenze sociali”. Ma non è questo un modo per diventare “creditori” di chi ha bisogno? E ancora: sia lui che Linda Licari affermano di essere a conoscenza di potenziali corruzioni elettorali: che aspettano ad andare in Procura?
Nel 2015, non ancora Sindaco, Alberto Di Girolamo faceva i saldi: se verrò eletto, lascerò il 50% del mio stipendio al Comune di Marsala. Nota prot. 64916 del 3 agosto 2015, Alberto di Girolamo, quale Sindaco di Marsala, rinunciava al 50% dell’indennità di Sindaco, disponendo che il restante 50% venisse devoluto ad uno specifico “Fondo Emergenze Sociali”.
Nel 2017, però, sempre lo stesso Alberto Di Girolamo decide di revocare la determinazione precedentemente espressa, percependo – così – l’intera indennità di carica con decorrenza da Maggio 2017 ossia 4.876,53 Euro al mese. Perché? Dalla nota a firma dello stesso Di Girolamo si legge: “considerato che le somme riversate nel Fondo Emergenze Sociali … non consentono nell’immediato di poter essere utilizzate … lo scrivente comunica la decisione di revocare quanto indicato con nota prot. n. 64916 del 3.8.2015 e di voler percepire l’intera indennità di carica spettante, al fine di poter gestire personalmente le emergenze sociali”.
E’ l’uso dell’ultimo avverbio ad essere grave. In che senso “personalmente”? Nel senso che la gente va dal Sindaco e gli chiede la carità o – meglio – il favore? Una cosa è affidare la metà dei propri emolumenti alla Pubblica Amministrazione, perché la gente va all’ufficio, rappresenta l’esigenza, e in maniera prevedibile e trasparente – secondo regole predeterminate – viene o non viene soddisfatta. Altro è avere gente che, per ottenere quello che lo stesso Sindaco – in piena autonomia – aveva destinato al Pubblico, deve chiedere la cortesia “personalmente” a Di Girolamo. Rimanendogli obbligata.
Ora cosa il Sindaco vuole fare dei suoi soldi non è affare pubblico. Lo diventa, però, nel momento in cui lo stesso Sindaco dichiara – in un atto che reca il simbolo della Città – di voler “personalmente gestire le emergenze sociali”; ossia: avocando a sé una funzione che è tipica di una Pubblica Amministrazione. E vale ancora una volta ricordare che se io ottengo qualcosa da una Pubblica Amministrazione, non devo dire grazie a nessuno, giacché mi viene dato ciò che è mio di diritto. Se io, invece, devo ottenere qualcosa chiedendola a qualcuno – proprio perché quel qualcuno ha deciso di sostituirsi ad una Pubblica Amministrazione – allora poi finisce che io a quel qualcuno rimango obbligato.
A questo punto, bisogna chiedersi: è questo un atteggiamento a rischio clientelismo, o no? E’ una domanda alla quale Di Girolamo dovrebbe dare immediatamente una risposta, visto che – in una recente intervista, rilasciata accanto a Claudio Fava – ha affermato che “Il clientelismo può essere peggio della mafia”.
Attenzione, però. Perché questa non è la sola che ha detto Di Girolamo. Dice anche altro. Dice che gli vengono riportate notizie di gente che promette utilità in cambio di voti. E non è il solo a lanciare questa accusa. C’è anche Linda Licari che affida ad un post di Facebook la stessa denuncia. E si badi: non si tratta solo di una pratica scorretta, ma di una vera e propria fattispecie di reato chiamata “corruzione elettorale” prevista dall’Art. 86 D.P.R. 16 maggio 1960 n. 570.
Dichiarano di essere a conoscenza di fatti di rilevanza penale: che aspettano a correre in Procura? Dopo aver denunciato gli ignoti guastatori dell’acquedotto, non c’è dubbio che il Sindaco l’abbia già fatto. Per quanto riguarda Linda Licari, non c’è da sperarci. Con circonlocuzioni che superano di anni luce il senso del ridicolo, previa lezione sul senso della legalità e sulla fiducia nelle istituzioni, se ne lava le mani dicendo che deve denunciare chi ha ricevuto la promessa. Paradossalmente la lista della Licari si chiama “Marsala Coraggiosa”.
E’ vero che qualcuno promette posti di lavoro in cambio di voti? E’ falso? Un giorno, forse, si saprà. Ma, intanto, quel “che non tinge, mascaria”.