Basterebbe un ultimo banco per capire il mondo, uno di quei posti al limite tra l’aria e il cemento, tra la nostra vita e quella degli altri. L’ultimo banco è la faccia cangiante del mondo, la finestra aperta sulle azioni della gente, su ciò che affascina ma non ci riguarda, è la scelta tra il perdersi dietro le spalle dei compagni o stare al mondo e mettersi in gioco. Quest’anno, con buona pace degli amanti della prima linea e delle trincee spietate, ad ultimo banco ci siamo trovati tutti perché il nostro personalissimo nascondiglio in fondo all’aula lo portavamo, come talismano protettore, ogni giorno sulla bocca, con quel bavaglio di censura sociale che ha accompagnato le nostre vite.
Nell’enorme reliquiario biologico nel quale ci ha costretti la pandemia, ho avuto la fortuna di poter credere ancora nella vita dietro le mascherine; alle spalle della dittatura democratica delle Ffp2 è esistita tra le costellazioni verdi delle aule scolastiche una enclave di libertà nella quale, nel giusto e doveroso rispetto del viso coperto, gli occhi hanno compiuto il miracolo: quest’anno gli occhi hanno parlato. Io c’ero, lo posso giurare.
I primi segni dell’evento straordinario possono attestarsi, secondo la mia esperienza, durante il mese di ottobre quando ottengo un posto presso la Scuola Media Statale “G. Mazzini” di Marsala, la dicitura del Ministero è stata chiara: “organico Covid”; ruolo essenziale ma dal nome, bisogna dirlo, dal retrogusto infermieristico, quasi da ospedale da campo. Ma a questo c’è rimedio.
Da quel momento ha avuto inizio il mio anno scolastico, alla fine del quale non posso far altro che porgere tre sentiti ringraziamenti: al Dirigente e al personale scolastico della mia scuola, ai ragazzi e alle coincidenze; ai primi perché ogni mattina, ad ogni suono della campanella, ha consolidato in me la convinzione che l’insegnamento non sia un dovere ma una libertà, l’enorme libertà di far capire alle nuove vite che se la natura umana genera il futuro, la cultura lo plasma; ai secondi perché hanno capito che il più grande atto di civiltà consiste nella comprensione e nel rispetto delle esigenze degli altri; alle terze perché mi hanno dato la possibilità di entrare ogni mattina in classe per provare a spiegare la vita a quei ragazzi ai quali, come atto di civica generosità, è stato chiesto di metterla da parte, di piegarsi, di aspettare tempi migliori come giunchi in attesa che passi la piena del fiume. La scuola ha dimostrato che il senso di umanità, quello si, è veramente pandemico. I ragazzi hanno combattuto contro i vuoti d’aria, quando basta la caduta di un momento per farti capire quanta distanza esiste tra noi e la realtà e darsi furtivamente la mano diventa la più grande ribellione alla paura.
Nessuno è mai realmente fermo finché pensa, fino a quando un’idea nasce tra i dubbi, fino a quando un adolescente si immagina adulto, un fotografo regista, un lago si immagina mare, un’idea romanzo. Questo il ruolo dell’istituzione scolastica durante quest’anno: ricordare ai giovanissimi che esiste una prospettiva nuova, un’eterna possibilità di pensarsi diversi. Nella mia esperienza la scuola ha dimostrato di essere una grande famiglia, una stazione d’arrivo piena di vite, uno di quei posti che ti fanno venire la voglia di tornare, dove i treni non passano, si attendono.
Dietro le mascherine si sono sviluppate vite parallele, parole pronte ad uscire ma intrappolate nella rete, gesti pensati e interrotti dal distanziamento come città che, arrestate dal coprifuoco, rimangono inespresse nelle notti che avrebbero ancora tanto da dire. Ecco il miracolo. Gli occhi hanno parlato, hanno sorriso e hanno viaggiato; hanno dimostrato che mentre il mondo era convinto di essere bloccato in sé stesso, tra quelle classi una rivoluzione era già cominciata.
Adesso che l’anno è finito si ricomincia da lì, dall’ultimo banco, dove il traffico dietro la finestra ci ricorda che siamo arrivati alla sesta ora e bisogna uscire, andare a cercare nuove parole. E’ tornata l’estate, ancora una volta; noi, però, questo lo sapevamo già perché alla bella stagione bisogna credere, sempre.
Achille Sammartano