È morto Diego Planeta, imprenditore, uno dei protagonisti del vino italiano e fautore del rinascimento del vino siciliano. Aveva ottant’anni. LO ricordiamo con l’articolo di Fabrizio Carrera pubblicato su Cronache del Gusto
Dici Diego Planeta e dici vino. Anzi, vino siciliano. Se n’è andato forse il personaggio che meglio ha incarnato l’imprenditoria vitivinicola moderna, innovativa, cosmopolita. È morto a ottant’anni, abbandonando un mondo che ha amato molto e che aveva conosciuto in lungo e in largo. È stato un siciliano di mare aperto, verso le novità, verso orizzonti non banali. Lontanissimo dal prototipo del siciliano di scoglio, refrattario alle novità, adagiato sull’alibi della sicilitudine. Planeta era un infaticabile imprenditore. Quando nel 2004 anno di riconoscimenti, onorificenze e tanta gloria, tra cui la laurea honoris causa in Scienze agrarie, con la tagliente ironia di cui era capace disse: «E adesso dobbiamo tornare a lavorare». Ci strappò un sorriso in quel momento, ma quella frase diceva molto dell’uomo, di com’era, della pasta di cui era fatto. L’anno della laurea fu anche quello in cui diventò cavaliere del lavoro, sicuramente il riconoscimento che meglio si attaglia alla sua figura. Fu un po’ un cavaliere visionario, infatti, se a un certo punto, a metà degli anni Ottanta, getta il suo sasso nelle acque stagnanti dell’Istituto regionale Vite e vino di cui diventa presidente. Per molti un incarico di sottogoverno. Ma lui che amava le sfide avviò una rivoluzione dell’ufficio che non era preso nella giusta considerazione. E per dire di come fosse avanti nella concezione che doveva ispirare anche la mano pubblica, chiamò accanto a sé due personaggi di livello. Giampaolo Fabris, sociologo dei consumi, e Giacomo Tachis il grande enologo che aveva già inventato il Sassicaia, E con Planeta si formò un trio inossidabile e illuminato che portò a grandi risultati.
Non lo sentivo da parecchio, circostanza che oggi mi rammarica molto; si pensa sempre che ci sia tempo: tempo per parlare, tempo per ritrovarsi, tempo per capirsi, tempo per chiarirsi. Ma non è così, la vita (e dunque la morte) non attendono le nostre esitazioni. Tuttavia, ciò che mi colpiva di lui era la sua ironia, soprattutto verso se stesso, che davvero era l’intelligenza che faceva un sorriso. La piacevolezza di stare con lui stava proprio in questa sua capacità dissacrante, nel distacco giusto che sapeva mettere fra sé e il mondo. E il mio pensiero affettuoso va soprattutto adesso a Francesca, la figlia e ad Alessio e Santi, i nipoti, coloro che per me sono i continuatori di quanto Diego abbia rappresentato nel mondo del vino. Quelli con cui mi sono confrontato negli anni, a volte anche con qualche divergenza di pensiero.
I traguardi di Diego Planeta sono entrati nella storia della imprenditoria vitivinicola italiana. Esigente, caustico, veloce, vulcanico, instancabile, errante. Crea un’azienda di famiglia agli inizi degli anni ‘90 mettendo alla guida figli e nipoti, una cantina i cui vini sono ormai punto di riferimento assoluto nel settore per qualità, piacevolezza e sicilianità. E agli inizi di questo secolo ha fondato, insieme a Lucio Tasca d’Almerita e a Giacomo Rallo, Assovini. Un’alleanza capace di sdoganare definitivamente il vino siciliano nel mondo. E sul vino siciliano aggiungeva un tocco di visione: “Abbiamo raggiunto obiettivi inimmaginabili, ma siamo solo all’inizio”.
Raccontare Diego Planeta è un esercizio che può durare a lungo. Come tutti i personaggi di grande livello è difficile racchiudere nello spazio angusto di un articolo di giornale. Ma, infine, se dovessimo dire di lui, del siciliano che amava il mondo e di una delle sue più grandi imprese, di uno dei suoi più grandi meriti, dobbiamo andare indietro di quasi 50 anni. Spostarci a Menfi, in provincia di Agrigento, lontana dai fasti di oggi, non ancora Menfishire come oggi si ama chiamare quella zona diventata ricca e luccicante. Planeta diventa presidente di una cantina sociale che vende vino sfuso, la Settesoli. Ma così non può andare, ventre a terra e lavorare, lavorare, lavorare. Settesoli diventa il propulsore di una intera economia del territorio e una delle cantine sociali più importanti del Mezzogiorno. Il vino di qualità ha cambiato la prospettiva per un territorio che era povero e polveroso. E lui che alla fine era cittadino del mondo, diventò cittadino onorario di Menfi. Siamo sicuri che andò orgoglioso di questo fatto. Mancherà alla Sicilia migliore.
Da Cronache del Gusto
Fabrizio Carrera