Ci ha lasciati Angela Mulè Piccione. Insegnante delle elementari, aveva compiuto da poco 92 anni. Era mia zia. Era la mia seconda mamma, la sorella più piccola di mia madre Olga scomparsa nel 2017. Perderla è stato come perdere, un’altra volta, mia madre. Un dolore grande per questa luce che si è spenta.
Vedere la zia, che con il passare del tempo assomigliava sempre di più a mia madre, ascoltare la sua voce, abbracciarla e tenerla stretta al mio cuore significava ritornare ad essere di nuovo figlia. Il tempo volava quando ero con lei. Era meraviglioso sentirla mentre raccontava fatti, aneddoti legati alla mia adolescenza, alla mia giovinezza. Lei sapeva amabilmente rinverdire i ricordi, riavvolgere il nastro della vita e ritornare indietro nel tempo per risalire agli anni trascorsi con lei, con lo zio Nino suo marito, i suoi figli Giovanni, Michela, miei coetanei, Ezio e la mia famiglia. Grazie a lei abbiamo avuto modo di apprezzare l’importanza dell’istruzione. Ero piccolissima quando mi trovai, qualche giorno, tra i banchi di legno della scuola in cui insegnava. Grazie a lei abbiamo conosciuto la bellezza del mare, delle spiagge di San Teodoro, delle gite ad Erice, delle feste al Patio, delle passeggiate in auto per raggiungere la casa in campagna a Dara, della televisione (fu tra i primi ad averla) , delle giocate a tombola, a carte, dei pranzi e delle cene preparati insieme alla mamma a Natale e Pasqua. Eravamo felici di niente.
La più piccola di quattro fratelli (Pina, Olga, Giuseppe) la zia aveva appena 11 anni quando rimase orfana della mamma Margherita che morì giovane e sul letto di morte la raccomandò a mia madre che di anni ne aveva 17. Per mamma Olga la zia fu sempre una figlia che adorò fino alla fine dei suoi giorni.
Insieme le due sorelle affrontarono con forza e dignità le tempeste della vita. Insieme gioirono delle loro conquiste, delle loro famiglie, del loro lavoro. Vissero il dramma della seconda guerra mondiale quando il pane veniva distribuito con la tessera in piccole porzioni. Commovente quando mi ricordava: “Tua madre mi dava un pò del suo pane perché per lei io ero più piccola e avevo più fame”. Gesti di grande generosità che parlano da soli.
Furono tempi durissimi, di privazioni, di immani sacrifici, di miseria. Anni che segnarono le loro vite. Da sole si salvarono dal tragico bombardamento angloamericano dell’11 Maggio del 43 a Marsala in cui morirono soffocate oltre mille marsalesi nel rifugio di Villa del Rosario, oggi sacrario, a pochi metri dalla loro casa in Via Ludovico Anselmi Correale. Questo sacrificio di vite umane valse alla città la Medaglia d’oro al Valor Civile. Negli anni della guerra le due sorelle e parte della famiglia si erano trasferite in campagna . “Quel giorno -mi ricordò- eravamo di passaggio nella nostra casa e, pochi minuti prima della tragedia, mia sorella mi afferrò per le mani per andare via velocemente con le nostre bici in campagna e non al rifugio, la trappola mortale dove tutti si dirigevano”.
Fino a pochi giorni fa ricordò: “Tua madre fu una mamma per me, fu una mamma per tutti noi. Senza il suo aiuto e il suo sostegno non sarei stata quello che sono”.
La zia Angela era bellissima, molto intelligente, garbata, studiosa, tenace, con una grande passione: l’insegnamento. Mia madre capì che la sorellina doveva studiare e doveva essere aiutata. Così, con grandi sacrifici, dopo avere conseguito con il massimo dei voti la maturità classica, e il diploma di maestra, insieme accolsero i bambini nella loro grande casa nel centro storico per aiutarli a fare i w compiti. Furono in tanti e di tutte le estrazioni sociali i bambini che seguirono le lezioni. Mamma e zia avevano una particolare attenzione per quelli più ribelli, quelli che vivevano in condizioni di disagio, che provenivano da famiglie numerose, da famiglie povere, che avevano già abbandonato la scuola o stavano per farlo. Mamma li coccolava regalando sciarpe, guanti, calzini da lei lavorati ai ferri. A questa esperienza si affiancò quella della colonia estiva per contrastare quella che oggi chiamiamo dispersione scolastica. Di bambini ne aiutarono tanti facendo del bene alla comunità. Giovanissima vinse il concorso e iniziò ad insegnare prima nelle scuole di campagna e poi nel centro storico. Ancora oggi i suoi alunni la ricordano con grande stima e affetto per il suo modo di insegnare e per i grandi valori della vita che era riuscita a trasmettere. Ricevette molte attestazioni di stima. Oggi dopo la sua dipartita tantissimi i messaggi di cordoglio.
Sono storie di donne straordinarie. Donne che avevano un grande senso della vita, che costruirono il loro futuro con le loro mani, sacrificandosi in silenzio. Ci hanno insegnato, con il loro esempio, che l’ambizione non può esistere senza volontà. Erano autodidatte: sapevano lavorare a maglia, ricamare, cucire.
Ora dico: ben venga quel cappottino che indossai dalle maniche risvoltate…mi ha fatto capire tante cose della vita.
Per la zia io e mio fratello non eravamo nipoti, ma figli. Stessi sentimenti nutriva mia madre per i figli della zia. Eravamo una grande famiglia, vivevamo tutti insieme nella grande casa della nonna Margherita, così grande che allora fu divisa in due appartamenti. Ricordo che nel 69, alle prime scosse del terremoto, in piena notte, la vidi entrare in camera da letto gridando: “terremoto , terremoto! I bambini me li prendo io perché ho paura…” Coprì me e mio fratello con le copertine e ci fece dormire in auto in campagna, all’aperto! Non volle sentire storie, non ascoltò mio padre che invece rimase a casa.
La zia era molto brava in matematica e da bambina mi piaceva guardarla mentre spiegava a Giovanni le espressioni algebriche…L’imperativo per tutti noi piccoli era: ”Studiate!”. Dopo i compiti, un po’ di tv per i ragazzi, la cenetta, Carosello e tutti a letto!
Si divertiva nel vedere me e mia cugina Michela giocare insieme con le bambole, litigare e poi fare pace.
Il suo cuore era pieno d’amore per tutti. L’ospitalità era il suo forte. Se andavo a trovarla, ancor prima che mi sedessi, incominciava ad aprire il frigo per offrirmi la frutta del suo giardino, la granita di limone preparata da lei… Era amata da tutti e ha lasciato il profumo di un’esistenza serena e onesta. Era orgogliosa della stima che mio padre aveva per lei che chiamava ” la mia augusta cognata”.
Ecco perché i giorni che hanno preceduto la sua scomparsa sono stati giorni strazianti, difficilissimi per me e mio fratello. Abbiamo rivissuto il tormento del distacco da nostra madre anche per l’impressionante somiglianza: stesso volto, stesso fisico, stessa voce. Stessa malattia, stesso percorso, tutte e due lucide fino all’ultimo respiro. Impressionante sentire pronunciare anche le stesse parole di chi accetta con serenità il trapasso da questa ad altra vita “la morte è pace”. Prima di chiudere gli occhi la zia ci disse con un filo di voce: “Non piangete per me…Oggi è un giorno di festa, è la festa della mia anima”. Chiese di confessarsi e, come mia madre, recitò le preghiere che non dimenticò mai. Sono stati momenti importantissimi. I più preziosi di tutti. Un’altra lezione di vita.
E’ la conferma che gli anziani sono Patrimonio dell’Umanità. Il loro cuore è pieno di bene, di tutto ciò che hanno realizzato, delle famiglie che hanno creato.
Tutti insieme abbiamo dato forza e vita per salvarla.
Ho visto Giovanni, il figlio medico che ha fatto di tutto per strapparla alla morte. Ho visto Michela, Ezio, la nuora Maria accudirla con amore, i nipoti Stefania, Salvatore, Paola piangere disperatamente per la nonna. Le hanno scritto una lettera piena d’amore e gratitudine che, nel corso l’omelia funebre officiata dall’arciprete Don Marco Renda in Chiesa Madre, è stata letta dal nipote Simone venuto appositamente da Bologna per cogliere con grande commozione l’ultimo suo bellissimo sguardo. Ho visto i nipoti polacchi Vicky 15 anni e Simon 17 anni adottati da Ezio e Maria, al capezzale della nonna. Adottarli 7 anni fa e seguirli non è stata una passeggiata, ma la zia li amava e si fece amare. In tre mesi i bambini, grazie a lei, hanno cominciato a parlare correttamente l’italiano. Ho visto le dolci carezze dello zio Nino, la sua mano che cercava quella della zia. Una lunga storia d’ amore: 72 anni insieme. Dietro questi gesti ho visto la bellezza di Dio.
Solo lei sapeva dirmi: “Cuore mio quando vieni a trovarmi?”. L’ultima volta che me lo chiese risposi “Subito tesoro di zia…” e corsi da lei, per un lungo abbraccio, per sentirmi di nuovo figlia. Durò poco questa meravigliosa sensazione. Ho perso mia madre un’altra volta e questa volta per sempre.
Rosa Rubino