Dunque è così che si consuma il più grande strappo ideologico della storia dai tempi del Grande Scisma d’Oriente.
Da un lato il Ministro che, secondo i Grillini, più di tutti s’è impegnato nella lotta al malaffare; dall’altro – sempre secondo i Grillini – il simbolo stesso della Magistratura che non fa sconti a nessuno. Che i due andassero sempre d’amore e d’accordo, in saecula saeculorum, era una realtà di per sé evidente.
E invece, innanzi l’Assise presieduta da Giletti, Di Matteo assesta le batterie ad alzo zero e spara una salva che ancora c’abbiamo l’acufene.
Si susseguono editoriali e contro-editoriali per capire il perché di questa catastrofe psicocosmica abbattutasi contro le mura del tempo. Nessuno, però, sembra aver colto il punto della questione.
Eppure, per sciogliere la matassa basterebbe porre due domande, due solamente, ai diretti interessati: 1) Bonafede, per quale ragione lei cambiò idea nel giro di qualche ora circa la nomina al D.A.P.?; 2) Di Matteo, perché lei ha deciso di rendere nota questa vicenda solo oggi?