Esistono opere “universali” capaci di parlare a tutti avendo in sé la forza della ricapitolazione. In altri termini sono in grado di rappresentare efficacemente la sintesi dei più grandi temi che attraversano la vita umana, proponendo inoltre un possibile insegnamento. Non si tratta banalmente di “arte pedagogica”, ma del garbato richiamo, drammaticamente necessario nell’era della cosiddetta postmodernità, all’eternità di alcunivalori. Primo fra questi l’amicizia, anche quella fra uomini e animali. Opere tanto più benemerite quanto più sono all’altezza del gradimento dei piccoli, senza però ridurre i grandi alla mera funzione di accompagnatori.
E’ il caso del film in questi giorni nelle sale italiane, “Il mio amico Tempesta”, diretto da Christian Duguay, che si rivolge ad una vasta platea proprio perché mette in scena una famiglia normale alle prese con le difficoltà della vita quotidiana: alti e bassi a non finire. Lo scenario è quello magnifico e potente della Normandia, con le sue spiagge sterminate lambite dalle acque della Manica.
La piccola Zoé nasce nella scuderia dei suoi genitori nello stesso istante in cui viene alla luce la puledra che segnerà il suo destino. E’ una bambina ribelle e determinata che desidera diventare fantina e vive nella magia e bellezza di questo sogno. Ma il destino sembra distruggere per sempre i suoi progetti perché in una notte di tempesta sarà proprio la sua cavalla imbizzarrita a calpestarla rendendola per sempre paraplegica. E sin qui, volendo ripassare le lezioni di narratologia, ci sono la situazione iniziale e lo svolgimento fino al punto della catastrofe, che è però anche quello, letteralmente e metaforicamente, del capovolgimento e della metamorfosi.
Perché il film di Duguay vuole insegnare una cosa molto semplice al suo pubblico: che esistono eventi, nella vita, superati i quali nulla sarà più come prima. Si potranno trovare, nei casi migliori, gli “aiutanti” delle fiabe studiate da Propp, ma il percorso rimarrà terribilmente difficile e pieno di insidie, mettendo a dura prova
l’umana resistenza. Eppure, proprio nel punto più vicino all’abisso è possibile che avvenga l’agognato “rovesciamento”, vale a dire che l’eroe, all’apparenza irrimediabilmente sconfitto, riacquisti fiducia nelle proprie capacità e potenzialità, che si riconcili prima di tutto con sé stesso e quindi con il mondo. E’ vero, niente sarà più come prima per la piccola Zoé e per il suo nemico/amico Tempesta, perché il “dopo” porta sempre a un cambiamento radicale e ad una nuova, difficile consapevolezza. Però, fortunatamente, lascia
ancora aperta la porta dei sogni e della loro possibile realizzazione.
Quella del viaggio dell’eroe, dall’inizio al suo epilogo, è una struttura narrativa classica ed è la storia di Zoé. Ma è anche quella di tutte le nostre vite.
Buona visione.
FEDERICA SBRANA