Si pensava che la mozione dell’agosto 2019 del Consiglio Comunale avesse messo fine all’idea della itticoltura nello Stagnone. Invece il progetto è ritornato con alcune modifiche che, però, non ne cambiano la sostanza. La circostanza più strana è che i proprietari e gli affittuari delle Saline Genna sono pressoché all’oscuro di tutto: i conti senza l’oste.
AcquaSal – Il Ritorno.
Non ci si può distrarre neanche per un secondo che certe cose te le ritrovi spuntare di nuovo e senza preavviso.
Tra queste vi è l’ormai famoso “Progetto Acqua.Sal”, il cui nome suggestivo protegge una realtà ben più prosaica, ovvero: riportare l’itticoltura nelle acque dello Stagnone.
Era già accaduto in passato, con l’itticoltura di tipo “intensivo” e i risultati furono disastrosi. Oggi ci si riprova con una forma “estensiva”, che a onor del vero dovrebbe essere più rispettosa dell’ecosistema. Tuttavia, alcuni dettagli del progetto non ci convincono molto.
A questo punto, però, serve un piccolo riassunto delle puntate precedenti.
Febbraio 2019, epifania di un progetto “sorto all’improvviso”.
Siamo agli sgoccioli della sindacatura di Alberto Di Girolamo, il cui leit-motif era: “intercettare finanziamenti europei”. Proposito molto lodevole – questo – sempre se assunto cum grano salis: perché (e non ce ne voglia l’ex sindaco) amputarsi una gamba per ottenere, con euforia, i finanziamenti europei per lo sviluppo di protesi risulta un atteggiamento alquanto bizzarro.
Ad ogni modo, la storia è questa.
Esce la notizia che una cordata di enti pubblici ha intenzione di installare – tra le altre cose – un impianto di itticoltura estensiva dentro l’ultima fridda delle Saline Genna. Ora serve qualche definizione per intendere quel che abbiamo scritto.
Dicesi “itticoltura” l’attività economica organizzata al fine di allevare i pesci. Esistono due tipologie di itticoltura: quella intensiva e quella estensiva. Quella “intensiva” costituisce una bomba ecologica, perché prevede l’uso massiccio di mangimi, composti chimici e medicinali; mentre l’acquacoltura “estensiva” comporta l’assenza di qualsivoglia apporto umano, soprattutto in punto di alimentazione.
Ora noi sappiamo che esiste una Salina del sedicesimo secolo, detta “Genna”, che inizia con una grande vasca, detta “fridda”, posta di fronte la Villa Genna. In tutto ciò, la “fridda” è la “prima” vasca della Salina, cioè quella dove fa accesso diretto l’acqua del mare.
Nelle idee dei progettisti, la “fridda” di fronte alla Salina Genna dovrebbe convertirsi in vasca da itticoltura estensiva.
Marzo 2019 – le carte del progetto e le incongruenze.
Otteniamo tutte le carte relative ad AcquaSal. Le studiamo e cerchiamo di farci un’idea. Non senza una certa difficoltà, riusciamo ad isolare i concetti fondamentali su cui si basa AcquaSal. Essi – ci è parso di capire – sono: 1) l’itticoltura è un modo di produrre cibo necessario per l’avvenire anche in considerazione della diminuzione dello stock di pesce negli oceani; 2) i salinari hanno da sempre praticato l’itticoltura nelle saline; 3) occorre recuperare, sperimentandolo, questo modo di “fare pesce” nella fridda di Salina Genna, in modo sostenibile (ossia “estensivo” secondo la definizione poc’anzi data).
Noi, nell’edizione 5302 del 5 marzo 2019, abbiamo subito evidenziato alcune criticità, muovendo due linee critiche: una di natura “politica”, l’altra di natura tecnica.
Iniziamo dalla prima. Noi eravamo e siamo d’accordo con l’uso dell’itticoltura “sostenibile”. Non non eravamo – e non siamo – d’accordo con l’individuazione del luogo dove installare questo impianto di itticoltura. Ci sono luoghi e luoghi. Le Saline Genna sono un unicum di bellezza: lì la mano dell’uomo si è incastonata alla perfezione con la bellezza della natura, creando un piccolo angolo di Paradiso che è bello così com’è. Purtroppo, la nostra bellezza è stata letteralmente distrutta da anni di abusivismo: è opportuno mettere a repentaglio anche quest’ultimo gioiello di famiglia che ci è rimasto? Si faccia l’itticoltura, perché no. Ma non lì. Lì è un luogo che ha ben altre potenzialità. Turistiche, per esempio. E, col senno di poi, questo pronostico si è rivelato giusto: se affidato a mani amorevoli, come è adesso, quella salina diventa… una miniera.
Seconda critica. Allo Stagnone l’itticoltura si può fare, sì, ma solo estensiva. Non lo diciamo noi ma il Regolamento dello Stagnone, tra l’altro citata nella delibera di Giunta Municipale n. 212 del 4 dicembre 2017.
Scorrendo il prospetto dei costi, tuttavia, abbiamo riscontrato che ben 25.000 euro risultavano stanziati per l’acquisto di “prodotti chimici, vetreria, pesci, mangimi”. Questa circostanza era di capitale importanza perché rendeva incompatibile Acqua.Sal con la disciplina dello Stagnone, facendola diventare “itticoltura intensiva” e dunque vietata.
Giugno 2019 – Spiegazioni e polemiche.
Il 15 giugno del 2019 – era una domenica – Legambiente Marsala-Petrosino organizza un incontro per chiarire alcuni aspetti su Acqua.Sal. Incontro che, per quanto ci consta, non servì letteralmente a nulla. Si parlò di “prospettive industriali” senza tenera a mente che tutte le avventure di itticoltura si sono sempre tradotte in fallimenti. Si parlò di un non meglio specificato “turismo ittico” i cui contorni rimangono comici e misteriosi allo stesso tempo. Sulle criticità pubblicate non fu spesa una parola che fosse una. In compenso, però, Legambiente ci accusò di strumentalizzare la nostra critica ad Acqua.Sal per fini politici (quanto si sbagliavano lo vedranno adesso) senza però contestare nulla nel merito di ciò che avevamo scritto. Si limitò a solo a scrivere una cosa, nella lettera indirizzata a TP24 del 18 giugno 2019: “trascorsi i cinque anni e all’esito della sperimentazione, giudicheremo se la riserva dello Stagnone sia davvero il posto giusto per l’allevamento ittico industriale”. Da rabbrividire il solo accostamento dell’aggettivo “industriale” allo Stagnone. Invece di valorizzare il principio di precauzione, unica bussola di chiunque abbia a cuore l’ambiente, prevale quello del “comu arrinesce si cunta”. Amen.
Luglio 2019 – Le prese di posizione di ARCI Scirocco e l’impegno di Daniele Nuccio.
A luglio del 2019 la situazione è la seguente: Acqua.Sal piace solo ai progettisti di Acqua.Sal, alla Giunta di Girolamo e a Legambiente. Tutto il resto della cittadinanza lo osteggia. Lo osteggia l’allora Consigliere Comunale Daniele Nuccio, che ne fa una battaglia di principio traducendola in una mozione diretta alla Giunta per recedere dal progetto. Lo osteggia anche il locale circolo ARCI “Scirocco” che organizza pure un incontro – alle terrazze San Francesco – sul tema.
Agosto 2019 – Il Consiglio Comunale dice “No”.
Il Consiglio Comunale – con 16 voti favorevoli, 4 astenuti e 2 contrari (Giusy Piccione e Luana Alagna, che invece ritenevano l’Itticoltura una buona idea) – boccia completamente il Progetto Acqua.Sal. L’Amministrazione Di Girolamo incassa il colpo e l’itticoltura allo Stagnone si ferma. Da ricordare alcuni interventi a Palazzo VII Aprile. Il responsabile di Acqua.Sal ebbe modo di denunciare la perdita dei metodi tradizionali di pesca dello Stagnone, nella fattispecie: “sciabicune a mano” e “cannizzola”. Il Consigliere Flavio Coppola spiegò che questa “perdita” era dovuta al fatto che la pesca nello Stagnone è, molto semplicemente, vietata.
Dicembre 2020 – Acqua.Sal alla riscossa.
Di Girolamo perde le elezioni, il che sembrava comportare un definitivo respiro di sollievo per lo Stagnone: decaduta l’Amministrazione che lo propugnò, pensavamo che decadesse anche il progetto stesso. Ci sbagliavamo.
Il 3 dicembre del 2020, il nuovo Sindaco – Massimo Grillo – ci invita ad un incontro al Comune con i responsabili di Acqua.sal. Una specie di dibattito, per capirci, dove loro spiegavano i “perchè sì” del progetto e noi spiegavamo i “perché no”.
Il risultato dell’incontro fu: carissimi del Vomere, scrivete una memoria dove evidenziate (ancora una volta) le criticità, in modo che noi (del Comune) la giriamo ai responsabili di Acqua.Sal cosicché si raggiunga una sintesi.
Il 7 dicembre del 2020 indirizzavamo all’indirizzo “sindaco@comune.marsala.tp.it” le seguenti domande:
A cosa serve, di preciso, Acqua.Sal?
S’è vero che i cicli di produzione del pesce constano di tre anni l’uno, quanti di questi cicli sono previsti per completare Acqua.Sal?
Qual è l’obiettivo economico che Acqua.Sal si prefigge? Se ve n’è uno, quali sono le ricadute concrete di Acqua.Sal nell’economia della comunità Marsalese?
Acqua.Sal è economicamente sostenibile? Una volta finiti i fondi europei, esso è destinato a continuare? E se sì, è previsto un business plan in tal senso?
Al punto n. 3.4 del Progetto Esecutivo – “Implementazione di un S.I.T.” si legge: “Con la realizzazione del S.I.T., i dati del progetto potranno essere proficuamente utilizzati per la protezione, la gestione e la pianificazione della laguna e del territorio limitrofo e in particolare per la gestione e lo sviluppo delle attività di acquacoltura sostenibile nelle saline”. E’ quindi prevista una estensione del progetto in altre Saline dello Stagnone? Se sì, quali?
Perché Acqua.Sal va fatto necessariamente dentro una Salina dello Stagnone? Esistono alternative?
Posto che Acqua.Sal trae la sua legittimazione “storica” da una (finora asserita) secolare attività economica organizzata finalizzata alla produzione ittica da parte dei “Salinari” (nella fattispecie: marsalesi), quali sono le fonti, gli atti e i documenti che ne provano l’esistenza? Esistono atti amministrativi che consentivano ai salinari la possibilità di superare la concessione “ad usum salinae”?
Se Acquasal comporta il restauro della Fridda “nord” delle Saline Genna, e tenuto conto che la Salina Genna è un bene storico-culturale, a chi verrà affidato questo compito? Esiste un progetto in questo senso? E se esiste, esso è stato ritenuto compatibile con l’identità storica del luogo? E se sì, da quale ente?
Quali strutture verranno istallate sulla Salina? Che impatto ambientale e visivo avranno? Esiste un rendering?
S’è vero che si qualifica come “estensiva” l’acquacoltura che non prevede apporti nutritivi dell’uomo nei confronti dei pesci, per quale motivo sono previsti ben 25.000 Euro di mangimi (Cfr. All. 1)? E se l’uso di tali mangimi è previsto nel progetto, come si coniuga questa azione con il “considerato che” della Deliberazione di Giunta Municipale di Marsala n. 212/2017, ove si specifica: “…sia consentito esercitare … l’attività di acquacoltura … nella quale l’alimento è totalmente desunto dalla rete trofica dell’ambiente senza alcuna integrazione alimentare esterna”?
Che tipologia di pesci verranno immessi nella fridda? C’ la possibilità che questi possano fuoriuscire e attecchire nello Stagnone?
E’ previsto un numero massimo di pesci dentro la fridda?
Come verranno smaltite le deiezioni dei pesci?
Acqua.Sal può provocare danni all’ecosistema dello Stagnone? Se sì, è prevista la stipula di polizze atte a restaurare lo status quo ante in caso di danni?
Questo l’elenco di domande la cui risposta risulta – a nostro avviso – essenziale per risolvere i nodi relativi alla legittimità del progetto.
Da allora, nessuna risposta.
2022: Acqua.Sal alla riscossa e i nodi al pettine.
Pensavamo fosse finita lì e invece no. Invece riecco spuntare il progetto, pur con alcune modifiche.
Innanzitutto, non possiamo non rilevare una strana anomalia di natura tutta politica. Arturo Galfano e Michele Gandolfo, quando erano all’opposizione, votarono contro Acqua.Sal; oggi – da Assessori – lo approvano. Il perché non è chiarito. Ne prendiamo atto.
Il prospetto dei nuovi costi (e ci piace pensare sia dovuto al nostro lavoro) ha eliso le somme previste per i mangimi: ciò dimostra che – in punto di incompatibilità del progetto con il regolamento dello Stagnone – avevamo ragione noi. Basta questo a farci digerire Acqua.Sal?
No. Per noi rimane l’aborto che era e ciò per ulteriori ragioni.
La prima è di carattere storico. L’assunto da cui trae legittimazione Acqua.Sal è che i salinari avrebbero da sempre svolto l’attività di itticoltura in concomitanza con quella di produzione del sale. In altre parole, ogni salinaro era, nello stesso tempo, un itticoltore che – in quanto tale – allevava pesci in modo imprenditoriale, sistematico ed economicamente organizzato.
Di ciò se ne trarrebbe prova – a leggere la bibliografia allegata alla relazione intitolata “Acquacoltura nelle Saline: un presidio ambientale per la conservazione e lo sviluppo economico e sociale dell’area dello Stagnone di Marsala – ACQUA.sal” – nella monografia “Le Saline di Sicilia”, a cura di Gesualdo Bufalino, edito da Sellerio nel 1988.
Ebbene, sfortuna vuole che noi questo libro ce l’abbiamo e una attenta lettura del volume conferma esattamente quel che abbiamo sempre sostenuto, ossia: non è mai esistita una attività imprenditoriale economicamente organizzata di itticoltura nelle saline. Molto più prosaicamente, accadeva che qualche pesce entrasse nelle vasche e che il salinaro se ne cibasse.
Citiamo qualche passo, per chiarire le idee. Pagina 36: “Accanto a questa, un’altra speranza: sfruttare biologicamente i vasi salinanti abbandonati, convertendoli in “fattorie marine”, in riserve alimentari perpetue, mediante l’allevamento di specie ittiche pregiate oppure (o anche) la coltivazione di alghe marine ad alto valore proteico, utilizzabili come mangime zootecnico e, in prospettiva, per cibo futuro dell’uomo”. Quindi: si parla solo in termini futuri e potenziali, mai di realtà storiche consolidate.
Ancor più significativo è un altro brano del volume citato. Pagina 110: “Le stesse considerazioni si possono fare per le attività di acquacoltura che sempre più di frequente vengono svolte stagionalmente nelle vasche del primo ordine (…). In realtà, da sempre una fauna ittica molto diversificata è penetrata naturalmente nei bacini prossimi al mare qui ha trovato condizioni favorevoli alla sua riproduzione e crescita: dice qualcosa al riguardo il pasto tradizionale dei salinari, che prevedeva cibi a base di pesce di salina. Nell’impianto della salina esistevano (ed esistono) insomma, le condizioni naturali perché si innescasse un vero e proprio “ciclo vitale” di certa fauna ittica”.
Ora: ritenere questa una “itticoltura” economicamente sostenibile equivale a definire “allevatore” colui il quale tiene un cane da compagnia a casa, o “pilota” l’automobilista che porta a scuola il proprio figlio, o “imbianchino” l’appassionato di bricolage che si diletta a tinteggiare la propria casa. La dimostrazione della bontà di ciò che diciamo la fornisce sempre “Le Saline di Sicilia”, e infatti a pagina 110 si legge: “I moderni piscicultori non hanno che razionalizzato ed incentivato il processo, somministrando (è appena il caso di dirlo) ulteriori dosi di tecnologia e di energia, in termini, ad esempio, di mangime per i pesci o di operazioni lavorative da compiere”.
Quindi, ricapitoliamo: è la stessa fonte citata dai responsabili di Acqua.sal che dimostra l’evidenza, ossia che una itticoltura (salinara) economicamente sostenibile è solo quella intensiva (e tuttavia vietata nello Stagnone). Quella estensiva – e le fonti lo confermano – è solo ed esclusivamente “di sussistenza” e dunque non connotata da imprenditorialità. C’è questa distinzione tra “occasionalità” e “sistematicità” che sembra non essere colta.
In secondo luogo: s’è vero che la fridda contiene in sé un piccolo ecosistema perfetto per l’allevamento estensivo, per quale motivo – nel progetto di fattibilità tecnica ed economica – è prevista l’installazione di “tre soffianti, posizionati nel bordo lato terra della salina, in cabine insonorizzate con ventole di raffreddamento, per ridurre il rumore prodotto al di sotto di 35 dB, filtrate da rivestimento in legno, a cui sono collegati dei tubi di gomma porosa per aria di diametro 14×26, con emissione di bolle medie dimensioni (3 mm) opportunamente zavorrate, tutto ciò per evitare la moria di pesci in particolari condizioni di poco ossigeno dell’acqua in periodi dell’anno”? Fateci capire: i salinari immettevano ossigeno nelle fridde? Cosa ha di “tradizionale” tutto ciò?
Ancora, leggiamo nella relazione: “Come già più volte ricordato, nell’area dello Stagnone non verrà, in alcun caso, immesso mai alcun singolo organismo acquatico. I regolamenti, le conoscenze scientifiche e il buon senso sconsigliano, infatti, di svolgere questo tipo di attività in un’area così fragile ed importante, con una biodiversità unica, purtroppo già sottoposta a numerose pressioni antropiche negative”. Ora, è conoscenza comune che una pioggia torrenziale provoca lo straripamento delle fridde. Come si può garantire che non avvenga una “evasione” di pesci in caso di piogge torrenziali? Alzano le pareti della fridda? E questo è compatibile con la conservazione dello stato dei luoghi?
I conti senza l’Oste.
In tutto ciò, le saline Genna sono proprietà privata. Attualmente esse sono condotte in affitto da altri privati. Nessuno dei due – proprietà e affittuari – sono stati minimamente coinvolti nella progettazione di Acqua.Sal. Allo stato attuale, per quanto ci consta mentre scriviamo, Acqua.Sal è il progetto di un palazzo che però è sprovvisto del terreno su cui costruirlo.