Nel quarto anniversario della morte di Lucia Olga Mulè Rubino
“Non preoccuparti papà. Domattina verremo in campagna in bicicletta”.
Così mia madre Olga, rimasta orfana di madre giovanissima, rassicurò mio nonno Ignazio che quel giorno si rifugiava, insieme agli altri due figli Giuseppe e Pina, in contrada Dammusello. Lì possedevano una piccola casa col giardino.
Era il 10 maggio del 1943.
Quel giorno mia madre era rimasta in città, con Angela, la sorella più piccola, per sistemare e chiudere bene la casa di via “Pannieri”. Bisognava proteggerla da atti di sciacallaggio, in attesa dell’imminente e annunciato bombardamento aereo anglo-americano.
Bombe che arrivarono puntualmente, l’indomani, la mattina dell’11 maggio.
A pochi metri della casa di mio nonno c’era il rifugio della Villa del Rosario.
Quando cominciarono a suonare le sirene dell’allarme, tutti gli abitanti della zona corsero per cercarvi protezione.
Mia madre e mia zia stavano per salire sulla bicicletta, per mantenere la promessa fatta al padre di raggiungerlo. Alcune persone, visto l’imminente pericolo, le chiamarono per farli desistere dall’intraprendere un viaggio nel mezzo di un bombardamento: volevano che insieme a loro entrassero nel rifugio.
Al netto rifiuto di mia madre, una signora prese in braccio sua sorellina per portarla con lei dentro il sotterraneo. Mia madre con uno strattone si riprese Angela e insieme, in bicicletta, sotto le bomba che cadevano a grappoli, riuscirono ad arrivare in “campagna”.
Si salvarono.
Morirono tutti asfissiati quelli che cercarono riparo a “Villa del Rosario”.
Una bomba, infatti, aveva occluso l’unica via di fuga di quel maledetto rifugio.
E “morì pure una parte di me”, mi diceva sempre mia madre che conosceva personalmente tutte le vittime di quella inutile strage.
E non c’era giorno che le non le ricordasse nelle sue preghiere.
Marsala, 16 Settembre 2021
Alfredo Rubino