Altro che super-ministero della transizione ecologica. Pendono innanzi al Ministero dello Sviluppo Economico 84 richieste di nuove trivellazioni in mare, cioè 84 motivi per temere un disastro ambientale. Inversione a U dei Cinquestelle
di Lorenzo Fertitta
Una nuova pericolosa minaccia sta per mettere seriamente a rischio il fragile territorio, il mare e l’ambiente della nostra regione. Sono ancora vive le vibranti proteste per la sconsiderata decisione di allocare pericolose scorie radioattive in quattro siti della nostra regione (due in provincia di Trapani) e si ripresenta l’allarme pericolosissimo per le trivelle al largo delle coste siciliane.
La causa è dovuta al clamoroso voltafaccia del Movimento 5 stelle che aveva voluto e promesso lo stop alle trivelle in mare e in terraferma. Infatti, il decreto Milleproroghe, approvato lo scorso fine anno, conteneva un articolo che prevedeva lo stop a «permessi di prospezione o di ricerca ovvero di nuove concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi». La ratio era quella di mantenere i permessi esistenti fino alla loro scadenza senza la possibilità di ulteriori rinnovi. Il testo che, però, è giunto al Consiglio dei Ministri non solo non contiene tale misura, ma approva addirittura un piano di sostegno all’industria di raffinazione. Evidentemente i petrolieri non hanno gradito la presa di posizione di qualche ambientalista e l’hanno subito mandata a dire al governo che ha risposto obbedendo e facendo un ulteriore regalo alle lobbies del petrolio. Questo ennesimo tradimento della politica fa sì che, se dovesse essere mantenuto l’impianto del provvedimento, ciò significherebbe, per la Sicilia, la possibile ripresa – o per meglio dire la prosecuzione – in grande stile dell’attività estrattiva, sia a terra che in mare, con effetti che è facile intuire. Sono infatti 84 le richieste di nuove trivellazioni presentate da parte delle compagnie petrolifere al ministero dello sviluppo economico, molte in fase avanzata e con minacce di multe milionarie di risarcimento in caso di rigetto.
Una decisione devastante perché sono enormi i danni che rischiano il paesaggio, il turismo, il mare e il sottosuolo se si dovesse tornare a permettere la ricerca e la conseguente selvaggia e incontrollata estrazione di idrocarburi, con conseguenze nefaste per l’ambiente, la fauna ittica e la popolazione, visto anche l’alto livello di rischio sismico del nostro territorio.
A prescindere dal possibile disastro ambientale che una fuoruscita di greggio potrebbe causare in un mare chiuso come il nostro, le operazioni effettuate a meno di 12 miglia dalla costa possono in ogni caso provocare danni alle spiagge, al delicato ecosistema marino e possono rovinare in modo irreversibile l’attrazione turistica del nostro territorio.
In nome di una risibile ricaduta occupazionale a fronte, invece, delle pesanti ricadute negative sul turismo e, quindi, sulla capacità delle imprese locali a creare ricchezza e occupazione, si è preferito dare via libera alla ricerca di petrolio in Sicilia, invertendo la rotta intrapresa per la transizione energetica verso le fonti di energia rinnovabili e facendo un salto indietro ancora a favore dei combustibili fossili.
Ed è ancora più assurdo che, mentre l’Europa chiede di ridurre le emissioni di CO2, l’Italia supporta con 18 miliardi di euro le estrazioni fossili altamente inquinanti, anziché puntare senza indugi sulle fonti energetiche alternative.
La storia delle trivelle nei nostri mari ha assunto nel tempo i contorni di una brutta telenovela.
Dopo il fallimento del referendum del 2016 con il manifestato scarso interesse verso lo stop alle perforazioni da parte della popolazione, nel febbraio del 2019 il governo gialloverde ha approvato “il decreto Semplificazioni” che ha portato in dote, tra le altre cose, una moratoria di 18 mesi sulle trivellazioni nei mari italiani.
Da quel momento, tutte le richieste di permessi inoltrate al Ministero dello Sviluppo Economico (Mise) da parte di compagnie petroliere italiane e straniere, sono state di fatto congelate. Ora, in previsione della scadenza della moratoria, l’esecutivo ha tentato di bloccare la ripresa delle perforazioni con una norma inserita nel decreto Milleproroghe di fine anno, che mirava a prolungare lo stop a questo ulteriore scempio del mare e delle nostre coste.
La norma, però, è stata stralciata per l’assenza di un accordo politico di fondo, per il tradimento dei 5 Stelle e per la forte opposizione del centro destra e di Italia Viva e, cioè, di quel Renzi che nel 2016 si era ampiamente prodigato per far fallire il referendum sulle trivelle e favorire gli interessi dei petrolieri.
La conseguenza è che, saltando questo blocco, le perforazioni potrebbero riprendere alla grande, nei mari e nelle nostre terre alla ricerca di gas e petrolio (che peraltro non sono né di qualità, né di quantità eccelse), dall’Adriatico al Canale di Sicilia, da parte delle più grandi compagnie petrolifere italiane e straniere che attendono con impazienza il tanto atteso via libera ai permessi richiesti.
Solo in Sicilia le richieste pendenti per piattaforme marine sono 24; davanti alla costa tra Gela e Licata la società inglese Northern Petroleum ha presentato una richiesta di trivellazione per una superficie di 279 chilometri quadrati, mentre Eni ed Edison in società vorrebbero concessioni per due impianti, il primo per 60 chilometri quadrati, l’altro per 450 chilometri quadrati. A Pantelleria è la società piemontese Audax Energy ad aver chiesto un permesso di ricerca per 345 chilometri quadrati. Altre 54 richieste riguardano, invece, ricerche sulla terraferma. In Sicilia, l’Eni ha puntato gli occhi sul territorio di Modica e Ragusa, ma anche sulla piana di Vittoria, nella zona tra Caltagirone e Gela e, infine, sulle Madonie, nell’area delle Petralie; la Mac Oil ha presentato domanda di ricerca per il territorio tra Enna, Caltanissetta e Agrigento, il gruppo Alcanna Italia per la zona del Belice.
I comitati, le associazioni e i cittadini che da anni si battono contro le trivelle, sono in allerta e seguono con apprensione l’evolversi della vicenda, restando fermamente decisi a scongiurare questa scelta scellerata di politica energetica che rischia di compromettere per sempre il futuro delle popolazioni minacciate da possibili incidenti, che metterebbero in serio pericolo ambiente, turismo e pesca.