“Una favola che si fa vita”. Nell’autobiografia di Naldo Anselmi una storia di impegno e di passione nell’ Umbria contadina del secondo dopoguerra

Esistono luoghi appartenenti prima all’anima poi alla geografia, capaci di disegnare coordinate cartesiane dell’interiorità, latitudini e longitudini ‘esistenziali’ originate semplicemente dal fatto di essere nati e vissuti in un determinato punto della terra e non in qualsiasi altro. Lontani dal rappresentare sfuggenti astrazioni teoretiche, tali luoghi costituiscono invece gli
autentici ‘epicentri’ dell’esperienza e dell’identità individuale e collettiva e non c’è dubbio che essi coincidano, perlopiù, con le proprie radici.
E’ ambientato nelle campagne di Ficulle, operoso borgo medievale di origini etrusche a pochi chilometri da Orvieto, “Una favola che si fa vita. Dai campi al campus”, il libro autobiografico di Naldo Anselmi (Edizioni Med). Dapprima ricercatore fitopatologo a Casale Monferrato, quindi Docente dell’Ateneo di Torino e dal 1993 all’Università della Tuscia, l’autore ripercorre le tappe principali della propria vita privata e professionale inserendole nel contesto di una millenaria civiltà contadina, capace di forgiare paesaggi e caratteri.
Una storia intensa di emancipazione e di riscatto che parla di mezzadria, di campagne umbre e di un’Italia rurale appena
uscita dalla Seconda guerra mondiale, piena di sogni e di miseria. Narrazione intima e trasparente, dal respiro universale, quella di Naldo Anselmi, che utilizza la scrittura come riflesso della memoria, senza cesure e senza censure.
Un autentico ‘flusso di coscienza’ che scorre intrecciando storia locale e nazionale e tuttavia torna sempre alle origini, con forza esemplare e archetipica.
Al centro l’Umbria e la sua terra dal carattere dolce e difficile, carica di storia e di bellezza, di energia estetica ed etica.
La vita di Naldo è quella di un giovane tenace e di un uomo che non si lascia piegare dalla fatica dei campi.
Alla forza primigenia e ancestrale della natura, alla tradizione arcaica e non negoziabile della cultura contadina, alle
prescrizioni cogenti della storia familiare, il protagonista oppone un insopprimibile desiderio di affrancamento perseguito
con determinazione e fedeltà, fino al successo. Scorrono, intanto, gli ultimi anni Quaranta, i Cinquanta, i Sessanta, poi
quelli a venire: il miracolo economico, le rivendicazioni sociali, gli anni di piombo, fino al crollo delle ideologie e ai sussulti
della globalizzazione. La vita politica nazionale e la ‘storia maggiore’ passano accanto, con tutte le seduzioni e le
contraddizioni della modernità e del progresso, lasciando giungere tuttavia dalle loro piazze e dalle loro metropoli solo gli
ultimi echi sfiorenti, privi di clamori e di fervori per chi deve pensare alla sussistenza.
Ma l’uomo non è solo sulla terra. Naldo crede nei valori ‘prepolitici’ del dovere, della giustizia e della solidarietà, si lascia
guidare da un’inflessibile etica del sacrificio e del lavoro, rinnega il pessimismo della ragione, si nutre dell’ottimismo della
volontà, ha fiducia nella ‘società’ e nella sacralità intangibile delle sue istituzioni. Il legame comunitario è solido e forte:
c’è, ancora, la famiglia, ci sono i maestri e gli insegnanti, ci sono i sacerdoti: un mondo di ‘altri’ cercato con speranza,
che risponde all’appello e si lascia trovare. Quando i soldi per comprare i libri mancano e frequentare l’Avviamento
professionale appena aperto a Ficulle o l’Istituto Tecnico Agrario di Bagnoregio diventano sogni impossibili, Naldo
prende carta e penna e scrive prima al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, poi ad Antonio Segni, per
raccontare la sua povertà e chiedere un sussidio economico. Cuore del suo universo esistenziale è una solidissima fede
nella ‘conoscenza’ e nella cultura come strumenti insostituibili di ascesa spirituale, intellettuale e sociale: un ‘voto’, una
promessa fatta a se stesso durante una sera d’inverno, con tutta la famiglia riunita, quando la televisione non c’era e si
leggeva ad alta voce un racconto o un romanzo. Toccò a Naldo cimentarsi con una pagina dei ‘Promessi sposi’ in cui si
descrivevano minuziosamente le malerbe che crescevano nell’orto di Renzo. Nessuno le aveva mai sentite nominare.
Dunque, per conoscere bene alcune cose, – concluse Naldo che frequentava appena le Scuole Elementari – anche tra
quelle che si incontravano ogni giorno, era necessario studiare. Allora io decisi di fare il possibile per studiare”.
Un obiettivo raggiunto fino alla carriera accademica e alle innumerevoli esperienze internazionali in oltre cinquanta Paesi
diversi, senza mai tradire la fedeltà alle proprie origini, con la fierezza di aver vissuto l’ultimo lembo di una cultura
contadina millenaria, scomparsa in pochi anni, ma pur sempre, e in defettibilmente, ‘madre’ del presente.
“Io spero che questo racconto – scrive l’autore – possa offrire un contributo per dare forza ai giovani che si trovano in
difficoltà, rincuorare quanti si sentono persi, spingerli a perseguire scelte giuste ed oneste e su queste perseverare,
indefessamente; convincerli che anche in situazioni sfavorevoli, la lealtà, la volontà, il sacrificio e la passione possono far
raggiungere elevati traguardi, nel pieno rispetto del prossimo, delle norme e dei valori morali”.
Quello di Naldo Anselmi è un libro vero e vivo, fatto di storia, di memoria, di terra e di radici. Un libro dedicato al passato,
per insegnare e ricordare che solo sulle sue basi è necessario e possibile costruire il futuro.

FEDERICA SBRANA