Il mondo di Mirabella Imbaccari nell’ultimo libro di Romano Bellissima Mario Morcellini: “E’ l’Italia dei centri minori. Protesta educata contro gli eccessi della globalizzazione”

Il mondo di Mirabella Imbaccari nell’ultimo libro di Romano Bellissima  Mario Morcellini: “E’ l’Italia dei centri minori. Protesta educata contro gli eccessi della globalizzazione”

E’ un’altra Italia quella raccontata da Romano Bellissima nel suo ultimo libro dedicato a Mirabella Imbaccari, piccolo centro siciliano del Calatino settentrionale:‘A Mangiatura’ (Edizioni Istituto Teseo). E’ l’Italia solida, netta, definita e niente affatto baumanianamente in sentore di ‘liquefazione’, delle appartenenze orgogliose e fiere, della ‘primissima Repubblica’ nata dalle macerie della guerra, della politica basata sul senso comunitario e sul valore concreto e tangibile dell’identità territoriale, quella delle sezioni locali dei partiti dove ci si incontrava per conoscersi, riconoscersi e per parlare dei ‘quattru cappeddi’, la vecchia classe dirigente del paese di cui si chiedeva e voleva il cambiamento.
Entroterra siciliano, provincia di Catania, Mirabella Imbaccari, 8600 abitanti, si parte dall’anno 1958. Pochi chilometri separano il paese di Romano Bellissima da Caltagirone, la città natale di Luigi Sturzo. Di questo luogo della geografia
fisica e interiore il Dirigente sindacale della UIL, Segretario generale della UIL Pensionati e Presidente nazionale dell’Istituto di Patronato ITAL-UIL racconta il passato, i sogni, le illusioni, la vita intera. Qui, davvero, la politica nasce non
retoricamente ma archetipicamente dalla ‘polis’, lo spazio e il tempo dell’appartenenza reciproca, di un’identità soggettiva
‘diffusa’ che diventa collettiva, di una ‘communitas’ originaria capace, da sola, di dare senso all’esistere perché in essa, e
solo in essa, i valori estetici e naturali coincidono con quelli etici e sociali. “E’ il racconto di contrade apparentemente
lontane e marginali. – scrive Marco Follini nella Prefazione – Eppure a modo loro cruciali. Perché è proprio da quelle
immense periferie che negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso comincia a prendere forma la democrazia del
nostro Paese”.
Romano Bellissima intreccia, non a caso, due narrazioni potenti che originano, si legano e convergono in un punto di
intersezione primigenio: quello delle radici. C’è l’autobiografia e la storia dei luoghi, ma non c’è soluzione di continuità fra
l’una e l’altra, perché la vita vera, anche quella della politica e del sindacato, nasce dalle piccole comunità locali, perdere
le quali significa – scrive l’autore – “perdere le sentinelle del territorio, la cultura della solidarietà, una umanità che
difficilmente si può esprimere e coltivare nelle megalopoli dispersive e spersonalizzanti”.
Dall’iniziazione alla politica all’assunzione all’Eni nel 1962, dal corso di formazione professionale a Milano, al lavoro
presso lo stabilimento petrolchimico di Gela, all’attività sindacale cercata e praticata per un innato senso di solidarietà:
“la parola ‘Sindacato’ deriva dal greco – ricorda Romano Bellissima – ed è una parola composta da ’syn’, insieme e
‘dike’, giustizia, ‘insieme per la giustizia’, e diventerà la scelta della mia vita”. Nel 1982 giungerà l’elezione nella
Segreteria nazionale dei Chimici UIL.
Intanto continua a scorrere la storia politica del Paese, che è – insieme – Mirabella, l’Italia e il mondo intero: nel ’58 a
Mirabella parte della DC si allea col PSDI, parte col PCI. Qui si realizzerà il primo governo di ‘unità regionale’ che colloca
all’opposizione il partito di Amintore Fanfani. Nel ’62 non si raggiunge alcuna maggioranza e nel ’63 arriva il
commissario: “L’hanno mandato i capi da Palermo / per comandare qui con pugno fermo / e raddrizzare d’autorità / il mal
governo della società” – scrive, in versi, Bellissima, maestro anche di satira e di parodia. Nel 1963 Moro costituisce il
primo governo organico di centrosinistra con l’ingresso dei socialisti e Pietro Nenni Vicepresidente del Consiglio. A
Dallas viene ucciso il Presidente Kennedy.
Poi gli anni Settanta, Ottanta e quelli a venire, fra voglia di partecipazione e di democrazia, sogni collettivi, scissioni
politiche, amarezze, disillusioni, contestazioni giovanili e contraddizioni adulte.
Ma intanto continua a scorrere anche la vita, più profonda, delle tradizioni e dei luoghi che seguono il tempo ciclico della
natura, non solo e non tanto quello lineare degli uomini. Il 13 dicembre, per esempio, a Mirabella per Santa Lucia si
fanno le Vampe, una festa che nasce – di nuovo senza alcuna soluzione di continuità – nel punto di sutura fra il
paganesimo e il cristianesimo, fra il sacro e il profano, fra il mythos e il logos. A Piazza dei Vespri e nelle strade del
paese la sera, subito dopo la messa, si accendono i falò, mentre le campane della Chiesa Matrice iniziano a suonare.
Poi si mangia ‘a cuccia’, grano decorticato e bollito che ciascuno condisce a suo piacere.
La dimensione del privato, nel libro, prorompe spesso all’improvviso, con potenza epifanica, come una folgorazione. “Il
21 luglio 1971 – scrive l’autore nel raccontare il suo ricordo più intenso che lega, di nuovo, lo spazio interiore a quello
esteriore – l’avvenimento più importante e più bello della mia vita: circondato da amici e parenti mi sposo con Maria
Bellissima in uno dei luoghi più suggestivi della Sicilia, il Duomo di Monreale”.
Il libro di Bellissima insegna e ricorda che il presente e il futuro hanno una consistenza arcaica, che il ‘noi’ ha un valore
più alto dell’ ‘io’, che il ‘nuovo’ deve nascere dai fondamenti, dai princìpi e dalle radici, che ogni processo globalizzante
rischia di essere omologante e di sopprimere l’anima e il corpo dei luoghi. Ma insegna anche che gli uomini possono
opporsi a questo destino servendosi del potere della parola pronunciata dalla memoria e dalla storia. Una scrittura
capace, interpolando vari registri espressivi, di ‘far rivivere il passato’ e di far entrare, per sempre, Mirabella Imbaccari
nell’immaginario collettivo. – scrive Mario Morcellini nella Postfazione. Un contributo prezioso agli ‘studi di comunità’ in
chiara ripresa negli ultimi decenni. “Sembra – aggiunge Mario Morcellini – di sentire l’eco di Cesare Pavese, il più grande
scrittore/poeta che si è chinato sul capitale comunitario dei piccoli centri: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di
andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo,
che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.

FEDERICA SBRANA