9 anni di carcere di cui 3 in Venezuela dove è stato condannato nel 2011 per traffico di droga. Uno zaino che ha affermato di essere stato costretto a portare, il fermo all’aeroporto di Caracas, il processo. Nel 2014 il trasferimento in Italia, prima a Rebibbia, poi a Civitavecchia, quindi in Sicilia.
Fulvio Amarù, 39 anni oggi, non si è arreso e ha chiesto subito di trovare un’occupazione. Nel carcere di Noto ha imparato a lavorare il legno e ha fatto la guida nel Museo barocco della città, con l’aiuto della cooperativa “Tempora”.
Poi la richiesta di grazia al Presidente Mattarella. A scrivere la lettera è stato il padre.
“L’anno scorso papà decide di scrivere al Presidente della Repubblica – racconta Fulvio – e compila un format attraverso internet. Mi dice che non gli sarebbe costato nulla mettersi al computer e raccontare la mia vicenda. Si confronta con i
legali, descrive i fatti, ribadisce non solo come io sia stato incastrato ma anche di come non abbia potuto difendermi davanti ai giudici. Il tempo passa, viene convocato anche in Prefettura a Ragusa. La cosa sembra mettersi bene”.
Il 18 giugno viene convocato nella Direzione del carcere: “E’ un uomo libero Amarù, Può tornare a casa”.
“Al Presidente Mattarella dico ‘Non si preoccupi, perché brutta figura non gliela farò fare. Veramente grazie. Non se ne pentirà”: queste le parole rivolte al Presidente della Repubblica da Fulvio Amarù, dopo la scarcerazione.
“Penso che nella semplicità ci siano le cose migliori – ha affermato – e adesso non voglio dare nulla per scontato. Sono una persona consapevole, cambiata. I valori dei miei genitori e la loro forza d’animo: da qui ripartirò”.
Il potere di grazia è previsto dall’Art. 87 della Costituzione. Le sue origini sono antichissime. Nella Roma repubblicana gli istituti erano due: la ‘provocatio ad populum’ e la ‘in integrum restitutio’: il condannato poteva chiedere la grazia contro la sentenza del magistrato, rivolgendosi al popolo romano, depositario della sovranità. Poi il potere fu avocato a sé da Augusto.
Oggi il procedimento di concessione della grazia è disciplinato dall’art. 681 del Codice di procedura penale. La domanda
è diretta al Presidente della Repubblica e va presentata al Ministro della Giustizia. È sottoscritta dal condannato, da un
suo prossimo congiunto, dal convivente, dal tutore o curatore, oppure da un avvocato. Se il condannato è detenuto o
internato, la domanda può essere però direttamente presentata anche al magistrato di sorveglianza. Il presidente del
consiglio di disciplina dell’istituto penitenziario può proporre, a titolo di ricompensa, la grazia a favore del detenuto che si
è distinto per comportamenti particolarmente meritevoli.
F.S.